Presente quando il tuo partito vince le elezioni nel 2015, ma l’anno successivo si spacca sul referendum per la permanenza nell’Unione Europea? E quando vince la Brexit, riesci a diventare Primo Ministro? E, ancora, quando decidi di andare a elezioni anticipate nel 2017 perché tutti i sondaggi ti dicono che stravincerai, ma subisci una sconfitta clamorosa? Benissimo, ciò che ho appena descritto è la storia inglese degli ultimi due anni, da un punto di vista particolare che forse qualcuno ha riconosciuto. Ma andiamo con ordine.


Le elezioni l’8 giugno sono state volute dalla Prima Ministra (PM) Theresa May, leader del Conservative party. Quest’ultimo, solo un mese fa, era dato come il grande vincitore di queste elezioni: avrebbe dovuto ottenere 400 parlamentari con oltre il 40% dei voti, ma la storia è andata diversamente.  I conservatori hanno, infatti, ottenuto solo 318 MP (Members of Parliament; -12 rispetto al 2015) con il 42.5% dei voti.

Il motto della May era “a strong and stable leadership” (una forte e stabile leadership), e su ciò è stata incentrata l’intera campagna elettorale: la PM si è mostrata come l’unica in grado di guidare il Regno Unito in questo periodo caratterizzato dalla Brexit e dagli attentati. Dopotutto, a tal fine sono state indette le elezioni anticipate: garantirsi una forte e stabile maggioranza.

Sfortunatamente per lei (ma onestamente se lo meritava) i tories hanno perso la maggioranza e se vorranno governare dovranno formare una coalizione, che sarà debole e instabile. Ottimo lavoro Theresa!

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Se la May è la grande sconfitta, Jeremy Corbyn è il grande vincitore. Leader del Labour party dal 2015, per molti sarebbe stato colui che avrebbe portato al collasso del partito; invece è stato l’artefice di una straordinaria rimonta, ottenendo 261 MP (+31) ed il 40.0% dei voti.

Con il programma più di sinistra dal 1994 , Corbyn è stato in grado di catalizzare il voto dei sostenitori di una soft Brexit, dei giovani e dei, cosiddetti, pro-welfare. Il suo motto è stato “for the many, not the few” (per i molti, no i pochi).

È impossibile che ottenga la maggioranza in questa legislatura, ma potrebbe conquistare la premiership in pochi anni. Per adesso si dovrà accontentare della leadership indiscussa dei laburisti.

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Nonostante abbia perso 19 seggi, lo Scottish National Party (SNP), guidato dalla First Minister  Nicola Sturgeon, si è riconfermato prima forza politica in Scozia e terza in parlamento: ha infatti ottenuto 35 MP ed il 36.9% dei voti degli scozzesi, che corrispondono al 3.04% nazionale.

Il tema centrale della loro campagna elettorale è stato un nuovo referendum per uscire dal Regno di Elisabetta II e rimanere in Europa.

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Tra tutti i candidati, Tim Farron è l’unico ad aver sostenuto la cancellazione della Brexit e la permanenza britannica nell’Unione. Leader dei Liberal Democrats, non è riuscito a portare a se tutti coloro che hanno votato Remain nel 2016.

Probabilmente il tallone di Achille di Farron sono stati i temi sociali: da cristiano evangelico si è rifiutato di dire se considerasse l’omosessualità un peccato (e se guidi un partito che si è fatto promotore del matrimonio gay questo può essere un problema).

Ciononostante i liberaldemocratici hanno preso il 7.4% dei voti e 12 parlamentari (+3).

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Con il 35.9% dei voti locali, il Democratic Unionist Party (DUP) si è confermato come primo partito nordirlandese. La sua leader, Arlene Foster si è detta disposta a fare un governo di coalizione coi conservatori, grazie ai 10 MP eletti (+2) e al 0.9% dei voti nazionali.

I problemi di questa alleanza sono tendenzialmente due: il primo riguarda le posizioni sui temi sociali, in quanto il DUP si trova spesso su posizioni più a destra rispetto al partito della May. Il secondo è sulla Brexit: mentre la maggior parte tories sono favorevoli ad una Hard Brexit, gli unionisti opterebbero per una Soft Brexit (in linea coi laburisti).

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Un altro grande sconfitto di queste elezioni è lo UKIP (UK Indipendent Party) guidato da Paul Nuttall, che è stato il grande promotore e sostenitore della Brexit. È passato dal 12% al 1.9% in pochi mesi.  Non è stato in grado nemmeno di confermare l’unico seggio ottenuto due anni fa.

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Degli altri partiti che hanno ottenuto almeno un seggio al Parlamento, bisogna citarne un altro originario dell’Irlanda del Nord. Sinn Fein, il cui leader è il carismatico Gerry Adams, ha ottenuto 7 seggi e il 29.2% dei voti irlandesi. Questo risultato è molto importante perché questa forza politica propone la creazione di un’unica Repubblica irlandese che unisca il nord ed il sud dell’isola. La crescita di questo movimento può rappresentare l’insofferenza della popolazione nei confronti della Corona.

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Parliamo un attimo del futuro governo di sua maestà. La coalizione tra conservatori e unionisti permetterebbe la formazione di un esecutivo, in quanto la somma dei loro seggi supera la soglia dei 326 MP necessari per ottenere la maggioranza: si arriverebbe infatti a 328-329 seggi (è ancora in bilico il collegio di Kensington a causa di un’estrema vicinanza tra conservatori e laburisti).

Oltre che per questa questione numerica, la PM May si troverà ad affrontare:

-un fronte della sinistra compattato dall’ottimo risultato di Corbyn che sfrutterà ogni opportunità per far cadere il governo;

-un fronte interno, guidato da Boris Johnson, scontento della Prima Ministra.

Personalmente credo che difficilmente questa legislatura arriverà a scadenza naturale, nel 2022, e questo renderà molto debole la posizione inglese nei confronti dell’Unione Europea durante il negoziato.

Hanno voluto scommettere, ed hanno perso. Ora ne pagheranno le conseguenze.

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-Mario (@DRMario99)